alla fatica del viaggio
PRIMO QUADRO
IL VIAGGIO D’ESTATE.
Via dalla scontentezza. 1. Vecchie zie 2. Dora e Leo si annoiano 3. Pietre nel lago 4. Clamoroso l’arrivo del nulla 5. Capsule artificiali 6. Qui non possiamo più restare 7. Programma di viaggio 8. Davvero le cose scompaiono? 9. Il legno diventa cenere 10. Presse pesanti e deformanti 11. Un morto al funerale 12. La frustata della delusione 13. La disperazione dell’amore
Una estate noiosa, disse Dora.
I pomeriggi sono lenti e caldi
beati e negligenti
e sono ancora più svogliati
delle ore lunghe di tante mattine
quando, ricordi, non eravamo che piume in volo
e si rideva
senza motivo
chini sui banchi, a scuola.
Sono persino più uggiosi
di tutto il tempo perso con le zie
o in visita alle amiche di mammà:
quanti lamenti e pianti,
lagne di donne e cucine in penombra
mi tornano alla mente
oggi, e sudori, aliti ferini
osceni, svergognati.
E cosce immonde, le fece eco Leo,
rughe di lombrico, occhiaia di pece
vischiose e fradice come limacce
e armate ai denti di logore stracce.
Assira la chiamava il suo amante
uno poco affettuoso ma attraente
alto e rosso com’era, e coraggioso.
Raccoglievano sassi levigati
e li tiravano nell’acqua piana,
al lago, alla Stellata,
prima della palude, con la sabbia
attaccata alla schiena
e all’orizzonte uno stagno bruciato
che s’incendiava nei loro occhi guasti.
Lui si copriva con la tesa
del cappello Stetson, di paglia chiara,
e guardava ai capanni
di pesca con curiosità e sorpresa
anche se non erano che rovine
ruderi d’acqua
nient’altro che povere trasparenze.
Ma si ergevano contro l’orizzonte
come forme immortali
e sferzavano il sole
orgogliose di una imprevista
dignità e non più coperte da fango
e oscurità.
Getta una pietra nel lago, Stetson!
lo incitò un giorno l’Assira.
Ancora, ancora!
E un’altra volta ancora,
pregò innamorata.
Vedrai, nasceranno onde,
e mari frangenti e le increspature
rilucenti che cantano
quando in riva diventano risacche.
Lo farò ma non devi illuderti,
disse Leo lanciando un sasso piatto.
Andrà che tutte quelle nuove vite
e arricciature, e pieghe, alcune tonde
altre alte e ritte, o con la spuma in testa
piano piano consumano, lo vedi,
tornano all’acqua fonda
che è triste e nera, buia come il ventre
cattivo e oscuro da cui sei venuta
fuori tu, e tutti, un giorno qualsiasi
persino la mia vagula
pallidula animula. Puella.
Idee e concezioni
ridono e saltano
lontano dalla riva
sull’altra sponda
dove il mondo di Dora
resiste al progresso scorsoio.
Non le conosci, Leo,
ti sono assenti
animula incredula querula.
E abbi pazienza e affetto
con me come io ne ho con te.
I mimi del futuro
non sono mai presenti
nel persistente qui
credono che ogni cosa
sia una carta estratta a casaccio
destinata a perdersi
fuori dal mazzo
e a scomparire
come onde nell’acqua, sconfitte
dall’arrivo clamoroso del nulla.
Il sentimento illude, Dora,
la nostra specie è condannata
ma un giorno
le cose saranno leggere
ed entreranno nella nostra mente
splendendo d’oro.
Quando le vorremo vedere
verranno avanti
la tecnica le spingerà
nelle capsule artificiali
del felice ricordo
per sempre
per sempre
per sempre.
E intanto
vivremo una vita modesta
saremo sfatti dalla morte
ancora prima di avere capito.
Amore amore e amore
non serviranno
son servi stupidi
non sono che il mastice del sublime
sciolto anch’esso nel nulla.
Cadremo giù
io e te e sogni e ricordi.
Ma adesso basta con laghi e paludi
andiamo via
ti prego Assira
venga avanti un’altra ora
via via via
dalla paura via
qui non possiamo più restare.
Si diedero un modesto
programma:
la felicità, la bellezza,
molte risate al mare.
Era questo lo spirito degli anni:
cambiare il mondo
amarsi, toccarsi, baciarsi
mischiare insomma
in una buona crema pasticcera
l’alto e il basso il blasfemo e il benedetto
era questo lo spirito degli anni
bisognava cambiare il mondo
e in fondo alla coscienza
trovare l’anima.
Sei sicuro Stetson
che le cose non possano essere
e stare,
e che debbano sempre trasformarsi?
Dopo l’amore,
mangiando cioccolata,
in fuga insieme al senso
smarrivano senno e criterio.
Il tempo è diventato infinito,
diceva Dora
guarda bene non è risolto
è una freccia ferma
il movimento è una illusione
il tempo tende a non esistere
l’amore non conosce
la falce tagliente del mietitore.
Oh care, oh quanto care
siete mielate immagini
dei nostri abbracci,
sdolcinate fotografie
del mondo che non c’è
cantilenava Leo irriverente.
Non sono che memorie amare
ridicoli ricordi
dei nostri momenti perfetti,
nient’altro che morali accadimenti
felici contingenze
destinate all’eterna uscita.
E non avranno più valore,
insisteva crudele,
di una acconciatura riuscita
non dura un mese
poi va rifatta
le cose non sono mai uguali
il legno bruciando diventa cenere
solo la tecnica ci salverà
la nostra mente sarà immortale
quando verrà
protetta da corazze artificiali.
Chi può saperlo, Leo,
pensava Dora
ieri ce lo ritroviamo domani
come non si fosse ancora esaurito.
Il tempo presente e il tempo passato
sono viventi nel tempo futuro
e il tempo futuro è dentro il passato
l’abbiamo pur studiato.
Le ore si acquattavano rispettose
quando si divertivano in cucina
bruciando le ricette
o quando ascoltavano vecchi dischi
per tirarsi un po’ su
o quando, a letto, dopo essersi
rincalzati ben bene le coperte,
giuravano che quel giorno era tutto,
era per sempre.
Le carezzava il ventre Leo
come fusa di gatto
alla ricerca del piacere
lungo ma austero
il loro preferito.
Dora lo proteggeva
da orizzonti che fuggivano via
ma bastava una giornata insensata
che so un brutto film amici noiosi
perché lui sentisse l’orrore
delle cose che finiscono
che pesano nel petto
e premono e distruggono
come torchi pesanti, deformanti.
Non vado ai funerali
e alla morte non penso.
Ma a Sartine, nella piazza del mercato,
tre bimbetti vicini alla fontana.
Op-là, op-là, op-là.
Lune-dì
Marte-dì
Mercol-dì
Giove-dì
Vener-dì
Saba-tò
Domeni-cà
E dopo i bimbetti tre vecchi
-vai là
-cosa c’è là?
-un morto al funerale.
E a Sartine, nella piazza del mercato,
sembrò quel giorno
a lei che pur le cose tratteneva
e a lui che le spingeva invece via,
a entrambi
parve, per farla breve,
che l’amore stesse finendo
spossato dagli anni, dal tempo,
o dal muto apparire
dell’incapacità
di spostarsi da sé.
Era irrequieta per l’irrequietezza
di Leo
che si muoveva verso un desiderio
non concepibile
resistere alla morte
a costo della vita.
Si abbracciavano ma l’abbraccio
li tendeva indietro e li allontanava,
arco rovescio,
frustata della delusione.
Gettano cibo dalla cittadella.
Corvi e gabbiani
stridono in una nuvola furente.
Li vedi?
Lassù?
I mercanti della bastia
stanno buttando anche la noia;
e la disperazione dell’amore
preme le labbra
sul banco africano.