Quando ci lascia l’ultimo respiro
(in poche parole quando si
muore) si prova una grande
felicità. Ne sono testimoni i
risvegliati: che gioia, che luce,
che pace; che insolito piacere!
Raggi di sole come angeli d’oro
mi hanno portato in estasi e in
quell’istante tutta la mia vita ho
rivisto splendente e con amore.
Ma io son convinto che in quel fatal
baleno -che arrivi tutto d’un colpo, a
sorpresa, o dopo una penosa
sofferenza- si provi un tal diletto solo
perché ci viene offerta perfetta e
consapevole coscienza che, come
bimbi al grembo, ritorneremo
finalmente là da dove tutti siam
venuti.
Nell’eterno nero del nulla.
Mi spiace.
Mi spiace per davvero. La verità,
però, è sacra, e va insegnata con la
forza.
Sappiano allora tutti, anche gli
illuminati, che se alla fine
sculetteranno nella luce sarà solo
per subito sparire, come figure
vane, nell’orrore. Ma non ridano
atei e razionalisti:
l’oggettività incombe,
grave e reale, anche
sopra le loro teste.
Quando infatti vedranno
il paradiso oscuro
di cui son certi non solo non
godranno di alcun piacere,
neppure della pallida
consolazione di quella lucina
in fondo in fondo, ma non gli
verrà in alcun modo
riconosciuta la virtù d’aver
creduto in vita (pensando di
essere più acuti di un prete) in
nient’altro che nella scienza e
nella sua provata verità.
Nessun premio, nessun honoris
causa: sentiranno solo un forte
dolore: eterno, temo, come il creatore.
Non chiudete gli scuri,
sognatori. Uccelli come bardi
stanno cantando lodi alle vostre
intrepide giornate.
Ho sempre amato i volti del tempo passato.
Venivano avanti curiosi e impolverati e si
accucciavano in ogni cassetto di casa, negli
angoli della cantina, sotto gli interdetti della
memoria. Quando trovavo un giorno o un’ora o
un lampo
di me ero felice e stringevo con
forza tra le mani quelle immagini
redente dal terrore.
Non erano altro che rami
spezzati,
e sottili, ingiallite foglie cadute: ma
intrecciando con scrupolo e pazienza il
loro desiderio d’infinito (non ho mai
trascurato un solo giorno durante gli
anni della mia scellerata malattia) mi
sono avvolta in un panno indulgente
convinta che potesse difendermi
nell’ora più crudele. Ma adesso so che
anche questo lavoro è stato inutile: il
gelo mi ha preso le gambe, mi spezza le
ossa, sale inesorabile al cuore. La mente
si confonde. Grida.
Si dice che al negozio marginale
si possa perdonare l’evasione
-anche criminale, quasi totale.
Vale sia sotto che sopra il bancone
dietro la cassa o in fila sindacale
-ma sia carnale il negozio in questione.
alla fatica del viaggio
PRIMO QUADRO
IL VIAGGIO D’ESTATE.
Via dalla scontentezza. 1. Vecchie zie 2. Dora e Leo si annoiano 3. Pietre nel lago 4. Clamoroso l’arrivo del nulla 5. Capsule artificiali 6. Qui non possiamo più restare 7. Programma di viaggio 8. Davvero le cose scompaiono? 9. Il legno diventa cenere 10. Presse pesanti e deformanti 11. Un morto al funerale 12. La frustata della delusione 13. La disperazione dell’amore
Una estate noiosa, disse Dora.
I pomeriggi sono lenti e caldi
beati e negligenti
e sono ancora più svogliati
delle ore lunghe di tante mattine
quando, ricordi, non eravamo che piume in volo
e si rideva
senza motivo
chini sui banchi, a scuola.
Sono persino più uggiosi
di tutto il tempo perso con le zie
o in visita alle amiche di mammà:
quanti lamenti e pianti,
lagne di donne e cucine in penombra
mi tornano alla mente
oggi, e sudori, aliti ferini
osceni, svergognati.
E cosce immonde, le fece eco Leo,
rughe di lombrico, occhiaia di pece
vischiose e fradice come limacce
e armate ai denti di logore stracce.
Assira la chiamava il suo amante
uno poco affettuoso ma attraente
alto e rosso com’era, e coraggioso.
Raccoglievano sassi levigati
e li tiravano nell’acqua piana,
al lago, alla Stellata,
prima della palude, con la sabbia
attaccata alla schiena
e all’orizzonte uno stagno bruciato
che s’incendiava nei loro occhi guasti.
Lui si copriva con la tesa
del cappello Stetson, di paglia chiara,
e guardava ai capanni
di pesca con curiosità e sorpresa
anche se non erano che rovine
ruderi d’acqua
nient’altro che povere trasparenze.
Ma si ergevano contro l’orizzonte
come forme immortali
e sferzavano il sole
orgogliose di una imprevista
dignità e non più coperte da fango
e oscurità.
Getta una pietra nel lago, Stetson!
lo incitò un giorno l’Assira.
Ancora, ancora!
E un’altra volta ancora,
pregò innamorata.
Vedrai, nasceranno onde,
e mari frangenti e le increspature
rilucenti che cantano
quando in riva diventano risacche.
Lo farò ma non devi illuderti,
disse Leo lanciando un sasso piatto.
Andrà che tutte quelle nuove vite
e arricciature, e pieghe, alcune tonde
altre alte e ritte, o con la spuma in testa
piano piano consumano, lo vedi,
tornano all’acqua fonda
che è triste e nera, buia come il ventre
cattivo e oscuro da cui sei venuta
fuori tu, e tutti, un giorno qualsiasi
persino la mia vagula
pallidula animula. Puella.
Idee e concezioni
ridono e saltano
lontano dalla riva
sull’altra sponda
dove il mondo di Dora
resiste al progresso scorsoio.
Non le conosci, Leo,
ti sono assenti
animula incredula querula.
E abbi pazienza e affetto
con me come io ne ho con te.
I mimi del futuro
non sono mai presenti
nel persistente qui
credono che ogni cosa
sia una carta estratta a casaccio
destinata a perdersi
fuori dal mazzo
e a scomparire
come onde nell’acqua, sconfitte
dall’arrivo clamoroso del nulla.
Il sentimento illude, Dora,
la nostra specie è condannata
ma un giorno
le cose saranno leggere
ed entreranno nella nostra mente
splendendo d’oro.
Quando le vorremo vedere
verranno avanti
la tecnica le spingerà
nelle capsule artificiali
del felice ricordo
per sempre
per sempre
per sempre.
E intanto
vivremo una vita modesta
saremo sfatti dalla morte
ancora prima di avere capito.
Amore amore e amore
non serviranno
son servi stupidi
non sono che il mastice del sublime
sciolto anch’esso nel nulla.
Cadremo giù
io e te e sogni e ricordi.
Ma adesso basta con laghi e paludi
andiamo via
ti prego Assira
venga avanti un’altra ora
via via via
dalla paura via
qui non possiamo più restare.
Si diedero un modesto
programma:
la felicità, la bellezza,
molte risate al mare.
Era questo lo spirito degli anni:
cambiare il mondo
amarsi, toccarsi, baciarsi
mischiare insomma
in una buona crema pasticcera
l’alto e il basso il blasfemo e il benedetto
era questo lo spirito degli anni
bisognava cambiare il mondo
e in fondo alla coscienza
trovare l’anima.
Sei sicuro Stetson
che le cose non possano essere
e stare,
e che debbano sempre trasformarsi?
Dopo l’amore,
mangiando cioccolata,
in fuga insieme al senso
smarrivano senno e criterio.
Il tempo è diventato infinito,
diceva Dora
guarda bene non è risolto
è una freccia ferma
il movimento è una illusione
il tempo tende a non esistere
l’amore non conosce
la falce tagliente del mietitore.
Oh care, oh quanto care
siete mielate immagini
dei nostri abbracci,
sdolcinate fotografie
del mondo che non c’è
cantilenava Leo irriverente.
Non sono che memorie amare
ridicoli ricordi
dei nostri momenti perfetti,
nient’altro che morali accadimenti
felici contingenze
destinate all’eterna uscita.
E non avranno più valore,
insisteva crudele,
di una acconciatura riuscita
non dura un mese
poi va rifatta
le cose non sono mai uguali
il legno bruciando diventa cenere
solo la tecnica ci salverà
la nostra mente sarà immortale
quando verrà
protetta da corazze artificiali.
Chi può saperlo, Leo,
pensava Dora
ieri ce lo ritroviamo domani
come non si fosse ancora esaurito.
Il tempo presente e il tempo passato
sono viventi nel tempo futuro
e il tempo futuro è dentro il passato
l’abbiamo pur studiato.
Le ore si acquattavano rispettose
quando si divertivano in cucina
bruciando le ricette
o quando ascoltavano vecchi dischi
per tirarsi un po’ su
o quando, a letto, dopo essersi
rincalzati ben bene le coperte,
giuravano che quel giorno era tutto,
era per sempre.
Le carezzava il ventre Leo
come fusa di gatto
alla ricerca del piacere
lungo ma austero
il loro preferito.
Dora lo proteggeva
da orizzonti che fuggivano via
ma bastava una giornata insensata
che so un brutto film amici noiosi
perché lui sentisse l’orrore
delle cose che finiscono
che pesano nel petto
e premono e distruggono
come torchi pesanti, deformanti.
Non vado ai funerali
e alla morte non penso.
Ma a Sartine, nella piazza del mercato,
tre bimbetti vicini alla fontana.
Op-là, op-là, op-là.
Lune-dì
Marte-dì
Mercol-dì
Giove-dì
Vener-dì
Saba-tò
Domeni-cà
E dopo i bimbetti tre vecchi
-vai là
-cosa c’è là?
-un morto al funerale.
E a Sartine, nella piazza del mercato,
sembrò quel giorno
a lei che pur le cose tratteneva
e a lui che le spingeva invece via,
a entrambi
parve, per farla breve,
che l’amore stesse finendo
spossato dagli anni, dal tempo,
o dal muto apparire
dell’incapacità
di spostarsi da sé.
Era irrequieta per l’irrequietezza
di Leo
che si muoveva verso un desiderio
non concepibile
resistere alla morte
a costo della vita.
Si abbracciavano ma l’abbraccio
li tendeva indietro e li allontanava,
arco rovescio,
frustata della delusione.
Gettano cibo dalla cittadella.
Corvi e gabbiani
stridono in una nuvola furente.
Li vedi?
Lassù?
I mercanti della bastia
stanno buttando anche la noia;
e la disperazione dell’amore
preme le labbra
sul banco africano.
SECONDO QUADRO
SVILUPPO OCCIDENTALE.
Crescere, crescere! 14. Leo ha trovato l’oro 15. Il marchio dell’anima 16. Euforia liberale 17. Lo sviluppo sentimentale 18. A innovazione stupida innovazione idiota 19. La guerra in Europa 20. L’immortalità 21. Il salotto di Donata Shelley 22. Altri ospiti: Giovanni Denes, Angelo, L’impavida, L’indiano 23. Le masturbazioni dei lupi 24. La macchina desiderante 25. Ormoni e neuroni 26. La nostra essenza 27. La tessera del viaggiatore e altre idee 28. La quiete dei giusti 29. La violenza 30. Capitale e lavoro 31. Ti ha stuprata? 32. Non ti lamentare.
Oh, è pulito il cielo
e la stella più alta
s’inchina a questa notte
e alla libertà di tutti i viandanti.
Per primo
a cavallo tra il capo e la colonna
marcia Stetson
con un sacco pieno di voglie.
Pare abbia trovato l’oro, un filone
non solo una pepita,
d’altra parte si è dato all’impresa
allo sviluppo
e il senso lo ha trovato
nei momenti perfetti
della contabilità dei profitti.
Alla partita doppia dell’amore
ha riservato piaceri minori
solo e nient’altro che voglie carnali
dagli istinti sgradevoli e coscritti.
Molto più tempo per gli affari:
prima ha aperto un negozio
camicie
poi una manifattura
camicie
concentrare è la missione
la specializzazione
apre le porte
e anche le casseforti
e negozio dopo negozio
s’inventa un marchio
si soffia in volto l’anima,
una santità se la merita
una camicia costa dieci
e la rivende a cento
chi di lui meglio?
Ha intuito, Stetson,
sa trovare le molli contingenze
che portano al denaro
e svelto svelto
occupa spazio
tutto lo spazio
con negozi, camicie, macchinari
e sentimenti;
e invade la vita e cambia i destini
di operaie e operai,
di venditori,
progettisti, fotografe e modelli,
sopra tutti ama
i creativi
che improvvisi e danzanti
per niente schivi
ti escono fuori con questa brillante
intelligente promozione:
un ferro da stiro in omaggio
se prendi due camicie;
e non basta: una robiola in aggiunta:
a stirar vien la fame.
Che originale idea, Stetson!
L’espansione sentimentale.
Gli affari non sono altro che emozioni
ai tempi
ancora non si poteva sapere,
ma quando il consumismo
fu liberato
si vide bene
di cosa era capace
l’euforia liberale.
Altroché moderati.
L’offerta incontra sempre la domanda
lasseiz faire
gli Stetson non li ferma
nemmeno il senso del ridicolo.
Gli Stetson: camiciai o digitali,
inventori di imbrogli,
e di prodotti innovativi
programmatori
dai grandi portafogli
filantropi e informatici
visionari del commercio elettronico
dalle dita e unghie lunghe,
grandi capacità di calcolo,
di smercio – e non bastasse
sanno ribattere:
a innovazione stupida,
nuovo prodotto idiota.
Doveva essere una rivoluzione
ci hanno investito l’anima del mondo
e persino i risparmi della Storia
ma hanno ricavato solo un gran caldo
e ghiaccio in quantità
s’eran mai visti
quarantacinque gradi
a Londra
a Londra!
E s’eran mai visti quarantacinque
gradi sotto lo zero
a New York
a New York!
E una guerra in Europa
s’era mai vista
dite, su, dite.
Ma ora basta rimpianti,
i nostri anni sono i migliori
non si vive forse più a lungo
e con molte comodità
l’acqua calda non c’era
la carta igienica neppure.
Quest’altro poi ditelo sottovoce:
oggi si sa
che non c’è altro scopo
se non raggiungere tutti gli scopi
e il maggiore di tutti
è l’immortalità.
Gli Stetson non li placa che l’idea
di vivere per sempre
in ottima salute
consumando pornografia
per dare un senso alla vita eterna.
Gli Stetson traggono il loro piacere
da una estroflessione dell’anima
che ripiega verso l’esterno
come alle volte
capita a certi organi anatomici
malati
che non vogliono più restare
al loro posto.
Gli Stetson…
Venga su da noi
domani prima che scenda la sera
ci riuniamo per divertirci,
per capire anche un po’,
o forse solo per stringerci
sa, la paura,
attacca, morde, picchia.
Stare insieme invece sostiene,
e alla sua anima
il nostro salotto potrebbe
togliere quella brutta sensazione,
quale mi chiede,
ma sì, quella, che i sentimenti
e la forza interiore
prendano forma
con un ferro da stiro
in omaggio ogni due camicie
più una robiola
cose virali
gentaglia
lo capisce lei stesso
chi inventa oh non la dico
quella parola
sì la pubblicità
ecco l’ho detta
chi crea quegli stupidi universi
non ha più anima
e testa di una mosca cavallina
oh perché mai una mosca cavallina
che associazione spiritosa non trova
Stetson?
Venga, non la deluderà l’incontro
tutti amano tornare
da Donata Shelley.
Ci saranno Giovanni Denes
umanista e scienziato tra i più grandi
e l’uomo tradito dallo sviluppo
l’Indiano lo chiamiamo
un povero alla nostra tavola
non manca mai, è regola civile,
e Angelo Biasi
oh, yes, lo statista europeo.
Ma vada avanti
cosa stava facendo, è senz’altro
cosa importante.
Intanto, la aspettiamo.
Finisca, vedo che le piace
ma se vuole un femminino consiglio
la scopi nel bosco in montagna
i lupi si masturberanno
mentre se la fa
e saranno rapiti
dalla scarmigliatura dell’impavida.
Gliela presento io, Stetson,
è una che ci sa proprio fare
dopo il piacere
accende i capelli di luce.
La macchina desiderante
che c’è dentro di noi non si esaurisce
mai, continuò Donata Shelley.
Era pesante di ori
e il collo le scendeva
lento sul gonfio petto.
Noi siamo dominati, aggiunse,
da istinti indipendenti
da questa nostra umana volontà
è un congegno
che ci precipita in un vuoto
oh, quale precipizio
c’è caduto l’Indiano
Giovanni Denes no
io non so
Angelo Biasi qualche volta
e l’impavida scarmigliata sempre.
Lei, lei Stetson?
Nel salotto di Donata Shelley
innovazioni industriali
affari, sostegni politici
sesso e passioni
ma non si creda
si parlava anche d’alti temi
agli ormoni piace di tanto in tanto
la compagnia dei casti neuroni.
Se non abbiamo un fine in noi stessi
diventiamo uno scaffale di merce,
se la nostra essenza è trasformare
assoggettare, cambiare, creare…
Un bel divertimento, non le pare.
Allora mettiamola in questo modo:
il destino dell’uomo
è di essere violato e assoggettato.
Bisognerebbe quietarsi un pochino
con questi consumi, e con lo sviluppo,
solo un pochino
ci vorrebbe una tessera
del viaggiatore, quattro voli
non di più, quattro voli all’anno,
forse bastano tre.
Diventiamo sempre altro
piagnucolò Donata
perché non stiamo fermi un poco
solo un poco vi prego.
Se crediamo che il desiderio
la volontà
di trasformare e dominare
e violare tutte le cose
e tutti noi viventi,
sia la nostra natura
se crediamo che il desiderio
la volontà
di interpretare
e attribuire significati
all’insignificante mondo
sia l’essenza dell’uomo
finiremo per essere
trasformati, violati e dominati
contro la nostra stessa volontà.
La violenza e l’alienazione
sono parte costituente
dell’idea che abbiamo
di noi stessi, noi stessi…
Ci crede lei? Mi sente?
Vuole essere chiamato Leo?
Con il suo nome?
La smetta adesso.
Shan uh shan uh shan uh
che la bellezza dell’impavida
sia irresistibile
lo capisco, ma si contenga
ci ascolti.
Siamo rimasti prigionieri
di opposizioni irriducibili
capitale e lavoro, giorno e notte
individuo e società, caldo e freddo
amore e odio, vita e morte,
per non dire il pesante
con il leggero
shan uh shan uh shan uh
cos’altro sono
continuò intensa Donata
se non una costruzione ipotetica
con le ipotesi ci siamo avvezzati
proprio bene, sempre serviti a tavola
da camerieri svelti come gatti
pronti a soddisfare ogni desiderio
la carta dei vini invecchiati
please
oh l’umanesimo
caro però
siamo rimasti implicati e impigliati
qualcuno anche impagliato
lo sconto, ci vuole lo sconto
se siamo creatori
beviamo tanto, sa, dov’è lo sconto
allora dobbiamo violare
versi pure, qualcuno pagherà
tutto il mondo con i significati
magari proprio lui, quel poveraccio
potrebbe finanziare la campagna
di Angelo Biasi
qui seduto alla nostra tavola
quello vuol dire questo,
questo vuol dire quello
mi fa una pena.
Una pena, Stetson, non crede?
Oh, non ti lamentare, no no, impavida.
In fondo ti ha pagato anche il chirurgo.
Non ti sei forse rifatta le guance?
E la bocca? E le tette?
Mi ha stuprata mi ha presa.
Oh, via, via, impavida…
Sono stata premio o vendetta?
Si è raffinato amante
non più il rostro usa o il fuoco
per levar l’eterno alla terra e al cielo
ma il suo ingombrante membro,
Oh, oh…
e leggeri disegni
nell’anima, violenza.
Oh…
Volevo andare mi ha tenuta ha vinto.
Con l’oscena promessa
del godimento.
Oh, oh, oh…
Delle cose senz’anima
con cui mi riempirà la vita
facendole girare, e cambiare,
per lenire il dolore
di non capire, non amare.
Non mi rimarrà nemmeno il ricordo.
TERZO QUADRO
CI SONO VITTIME?
Non perché esistiamo ma perché ci sono vittime. 33. la carta d’Europa si è rotta 34. Rispettare i morti 35. La rinomata lungimiranza dei liberali 36. Il piacere nei capelli accesi 37. Inaridito fiume 38. Dolci amori 39. Le latrine del potere 40. Aiuto 41. Nessuno mi guarda 42. Guardami 43. Mio figlio mi odia 44. Il godimento continui! 45. Mi sono ucciso per la furia degli oppressori.
Città presuntuose, strade graffiate
la carta d’Europa si è rotta
l’acqua è uscita dai fiumi.
Ti ho tanto aiutato indiano
e ti sei ucciso invece di cercare
un buon posto al collocamento.
Non si fa non si fa.
C’è chi è morto nei profondi del mare
gli dovevi almeno rispetto.
Morti per acqua:
e marinai non sono o pescatori
ma viaggiatori.
I nostri spiritosi imprenditori
li attirano a gruppetti
se la va la va
-vengono giù dal mare
cantandodeve
-E sono ben vive mio caporale
-Li arruolo anche nel suo nome Donata
-Guardi Angelo, c’è un precipizio
-Premio per aver costruito
-Vuole scherzare
-No, non sono altro che vittime brevi
per la rinomata lungimiranza
dei liberali.
-io no, io no, io no
-non è il caso non ci pensi adesso
-mi vede?
-Come potrei non vederla, impavida,
ha i capelli già accesi
-non voglio più essere vista così
-oh, via, via
Inaridito fiume
attraversi pianure
e frantume, e secche città.
Le pietre sono spente
le lune gemono.
Qui ci sono stati poeti
guidavano rolls-royce
carezzando la morte.
Ricordate vi prego
di pulire per bene i pare-brise
prima di accendere i motori.
Oh che dolci amori nel temporale
d’estate,
che dolci amori!
Inaridito fiume
dove sono i battelli
dove le nostre chiassose parole?
-Dove, legislatore e esecutore?
-Venga nelle latrine
subito, mi segua nel falansterio.
-Faremo sacrilegio
-Venga impavida, le ho disinfettate
anche da ogni più sordido peccato.
Mi aiuti, adesso.
I capelli si sono spenti
ma mi favorirà lo stesso
dopo tutto quello che ho fatto
nelle latrine.
Mi guardi per favore
a chi posso chiedere aiuto?
C’è questa luce viola
mi stringe come una camicia
di forza, la giusta sanzione
per chi come me non sa vivere.
Mi guardi per favore
a chi posso chiedere aiuto
mio figlio
ha solo sedici anni
beve è violento
farà violenza anche a chi ama.
Chi gli ha messo in corpo l’orrore
mi guardi per favore
a chi posso chiedere aiuto.
Nessuno mi guarda tu non mi guardi
tu non mi stai guardando
Ho cominciato a illuminare
i miei capelli e a tenerli in ordine
Gianna la parrucchiera
mi ha così tanto aiutato
perché finalmente qualcuno
guardasse nelle mie lacrime
mio padre e la mamma
non mi vedevano
mi guardavano ma non mi vedevano
mio marito
non mi vedeva
guardami gli dicevo
abbracciami
ti prego
ma non capiva
seguiva un altro azzardo
girava lo sguardo da parte a parte.
Ma avevo un figlio
e una cucina
come si deve
la casa mi piaceva
mi piaceva anche lavorare
creavo asole cucivo bottoni
pensavo potesse bastare
ma mio marito è andato lontano
mio figlio è diventato violento
e sono caduta in questa latrina
per pagare i suoi vizi.
Guardami ti prego ti prego
aiutami almeno a capire
la poesia non mi porta di là
eppure ne ho letta
l’ho anche scritta sai
per andare di là
ma ho usato le stesse parole
di chi mi compra
delle famiglie e degli amici
delle sere delle risate
della volgarità
con quelle parole non si va
non sono andata oltre,
ce ne vorrebbero altre
chi le ha dove sono i poeti
c’è chi sta sul confine
chi vive sul confine
dove le lingue si mescolano
forse vanno di là
forse quelle parole passano
ma adesso
guardami adesso guardami ti prego.
Non c’è bellezza che possa placare
sofferenza e rimorsi
non c’è nulla da amare
si procede solo con scherno
e derisioni.
Nessuno mi guarda tu non mi guardi
tu non mi stai guardando
come faccio non ce la faccio
i soldi non mi bastano
voglio sguardi e parole
capiscimi almeno un pochino.
Sono ridicola sulla latrina?
Però guardami guardami guardami
mio figlio mi uccide
leva da lui l’orrore
guardami guardami guardami.
Inaridito fiume
attraversi città
sarai attraversato da armi e da niente.
Per continuare il godimento
il gran divertimento
dei mondi.
Mi sono ucciso
invece di suonare il campanello
del funzionario del collocamento
mi scuso
ma ho sentito forte il richiamo
degli antenati
che svanivano nell’alcool,
spenti in lacrime, disperati
per la furia degli oppressori
e del loro saper vivere.