Qui non possiamo più restare raccontato attraverso il punto di vista e le parole di appassionati, giornalisti, testate e blogger…

Alle radici della violenza

Aggressioni, morti, proteste, più in generale una violenza che si genera e prende forza da sé stessa, proprio come la piccola palla di neve che rotolando diventa sempre più grande fino a prendere le proporzioni di una valanga. Ma come può Marcenda Werefkin difendere sé stessa e la comunità da tutto questo? Come può l’utopia riuscire a prevedere in sé dei meccanismi di autodifesa così efficienti da riuscire a contrastare anche l’imprevedibile? Forse la risposta è solo una: non è possibile. In Qui non possiamo più restare si raccontano modelli che vengono calati dall’alto e che per questo non hanno un canale di comunicazione con la realtà che li circonda.

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Gianluigi Bodi (Sezaudio)

Personaggi vitali, destinati a rimanere nella memoria

Marcenda ha fondato una città, una città ideale, dove donne povere e sfruttate possono trovare rifugio. Una città nuova, un borgo che in questo modo viene ripopolato. Ma da qualche tempo una violenza che sembra generarsi dal nulla, un’aggressione e poi una morte indecifrabili hanno minato l’armonia del posto. E’ la storia raccontata da Giuliano Gallini in Qui non possiamo più restare (Ronzani Editore). I rapporti con i cittadini della comunità, e quelli tra chi ha contribuito insieme a lei a creare questa piccola realtà utopica vengono messi a repentaglio, compromessi da un’impennata e imprevista irrazionalità. La narratrice è testimone diretta, e in qualche modo chiama i lettori a collaborare, nel  comprendere e nell’accettare le oscurità dei personaggi che si muovono nella trama, così apparentemente idilliaca, in realtà condizionata dalle ideologie dominanti di questo millennio, capaci di entrare anche nella intimità dei sentimenti e di mettere in questione la percezione stessa della realtà e i modi del nostro conoscere. La storia è ambientata in un futuro vicino, quasi il nostro presente; i personaggi, vitali e destinati a rimanere nella memoria di chi legge, sono anche simboli del tempo che ci troviamo a vivere.

11 aprile 2022

Perché le utopie sono destinate a fallire

Una “favola nera”, in cui gli abitanti di un piccolo centro immaginario, Murata, provano e manifestano ostilità crescente verso una piccola comunità che dà alloggio a donne in fuga, vittime di violenza o comunque bisognose di protezione. Un ex convento trasformato in uno spazio di solidarietà fondato da una donna, Marcenda, con l’aiuto di altre due, Livia e Nabilah e il supporto, successivamente, di un ragazzo: Simon “accolto, come amano scherzare, “solo perché somiglia a certe immagini di Antinoo”.
A raccontare la vicenda, molti anni dopo, Gallini immagina sia una giornalista arrivata in zona per un reportage sul caporalato, la povertà e lo sfruttamento, e ospite della comunità proprio nei giorni in cui va in scena la tragedia finale.

Enrica Brocardo

La sconfitta di un’utopia nell’ultimo libro di Gallini

Nuova fatica letteraria per il ferrarese Giuliano Gallini, ex dirigente Cir, che dopo i primi tre romanzi con Nutrimenti editore (Il confine di Giulia, Il secondo ritorno e Storia di An- na) da pochi giorni è in libreria con il nuovo libro Qui non pos- siamo più restare (Ronzani editore). «E un romanzo diverso dai miei precedenti, lo stile è meno disteso e lirico, più in- quieto, perché più inquieta la vicenda narrata; e ho abbandonato un certo realismo per una sorta di “non finito”». A parlare è lo stesso Gallini, che ancora una volta non dimentica la sua città: «L’ambientazione è di fantasia, ma ci sono richiami a Ferrara. Il libro racconta la storia di un’amicizia e di un’utopia: ho immaginato che Marcenda, la protagonista, altre due donne e un ragazzo fondino una piccola società e vincano una gara pubblica per la gestione di un centro che accolga donne italiane e straniere povere. L’attività ha successo e anche il paese vicino ha un momento di rinascita e ripopolamento operoso. La nostra specie però continuamente costruisce utopie e le abbatte: l’utopia di un mondo senza guerre è sempre sconfitta da una nuova guerra», come oggi.

3 aprile 2022

Una riflessione sul nostro tempo fragile, protervo, malsicuro

Ambientata in un futuro decisamente prossimo e credibile, così come i personaggi che la animano, la vicenda narrata in prima persona da una testimone diretta è il racconto potente e destabilizzante di una drammatica e sconcertante violenza che sembra scaturire dal nulla, minando sin dalle fondamenta l’armonia idilliaca costruita in una città fondata per accogliere donne impoverite e sfruttate e per ripopolare un vecchio borgo in abbandono: l’autore ritrae con prosa chirurgica il crogiuolo di sentimenti, rabbie, frustrazioni, pregiudizi e invidie che anima questa paradigmatica comunità ristretta, inducendoci alla riflessione sul nostro tempo fragile, protervo, malsicuro. Da leggere.

Gabriele Ottaviani - 19 marzo 2022