«L’attacco era alla capacità di vedere una realtà oltre la realtà convenzionale che ci è davanti agli occhi ogni giorno. La minaccia dell’utopia è più temibile per la nostra identità della minaccia dello straniero»

Marcenda non riesce a fermare una violenza che sembra si generi dal nulla. Una aggressione e una morte indecifrabile minano l’armonia della città ideale che ha fondato per accogliere donne impoverite e sfruttate e per ripopolare un vecchio borgo in abbandono; i rapporti con i cittadini della comunità e l’amicizia con chi insieme a lei ha costruito la piccola utopia vengono compromessi dall’arrivo di questa improvvisa irrazionalità. La narratrice è una testimone diretta, che chiama i lettori a collaborare nella comprensione e nella accettazione delle sconcertanti oscurità delle persone che si muovono sulla scena del racconto; una scena apparentemente idilliaca ma che è pesantemente condizionata dalle ideologie dominanti di questo nuovo millennio, capaci di entrare anche nella intimità dei sentimenti e di mettere in questione la percezione stessa della realtà e i modi del nostro conoscere. La storia è ambientata in un futuro vicino, quasi il nostro presente; i personaggi, vitali e destinati a rimanere nella memoria di chi legge, sono anche simboli del tempo che ci troviamo a vivere.

Qui non possiamo più restare è una ricerca sulla conoscenza e sull’amore; sulla forza del ricordo e sulla libertà dell’immaginazione; sulle trasformazioni profonde di un mondo dalle grandi capacità di calcolo ma dalle deboli visioni sociali; sulla strada che sta prendendo l’umanità e sull’intreccio tra il suo destino e il destino individuale di tutti noi.

PRESENTAZIONE