Un piccolo blues per Manchette

Piccolo blues (1977), di Jean-Patrick Manchette. Einaudi (2002). 150 pagine, 8 Euro.

Dove ti porta il senso civico! Gerfaut esce di casa con la sua confortevole mercedes, percorre la strada nazionale 19 agli ottanta all’ora, vede una macchina fuori strada, per metà nel fosso, e che cosa fa, non si ferma? Bè, ci ha pensato, una bella seccatura. Poi il senso civico… non solo il senso civico: anche la paura che gli occupanti, intrappolati nelle lamiere di quella che sembrava una Ds, avessero preso il suo numero di targa e lo potessero denunciare per omissione di soccorso. C’è un ferito, sanguina al fianco, Gerfaut lo porta in ospedale. Poi gli pare di aver fatto fin troppo e appena può, appena il ferito viene portato in infermeria, se la squaglia. E torna a casa da sua moglie Bea.

Non sono riuscito a non chiedermi come mi sarei comportato. Mi sarei fermato? Sì, per gli stessi motivi di Gerfaut, un misto di senso civico e di paura. Ma poi? Me ne sarei andato non appena il ferito da me soccorso fosse stato in buone mani?

“ Te ne sei andato così senza dire niente a nessuno?”  disse Bea. “non hai lasciato il tuo nome, non conosci quello del tipo? Non hai neppure detto dove l’hai trovato, ti rendi conto?”

“Non so,” disse Gerfaut. “Di colpo mi sono rotto, mi faceva tutto schifo, è una cosa che mi capita a volte.”

Il noir di Jean-Patrick Manchette

Jean-Patrick Manchette (1942-1995) ha scritto una decina di romanzi che sono ancora oggi tra i migliori del noir francese, e probabilmente europeo. Piccolo blues (Il protagonista ascolta in casa o in macchina John Lewis, Gerry Mulligan, Shorty Rogers, Shelly Manne, Conte Candoli, Fredy Katz, Woody Herman e via così) è forse il suo capolavoro, dove il suo stile secco, spigoloso, geometrico si esprime al meglio in una vicenda  che si spiega tutta con la battuta che ho appena citato:
“Di colpo mi sono rotto, mi faceva tutto schifo, è una cosa che mi capita a volte.”

La mezza generosità di Gerfaut (soccorrere il ferito ma non restare con lui fino alla fine) è punita da un fato inarrestabile, una sequenza impressionante di persecuzioni con esiti paradossali, grotteschi, divertenti. Persecutori e perseguitato agiscono senza alcuna razionalità: pare che le loro decisioni abbiano la stessa qualità di quelle del capitalismo e del liberismo (su questo torneò tra qualche riga).

“Insomma, alla fine di un lungo minuto, i due sicari si diedero alla fuga. Perché non riuscivano ad avere ragione della loro preda. Perché la loro preda era diventata una specie di macchina isterica che smuoveva masse considerevoli di acqua e minacciava a ogni istante di cavar loro un occhio a forza di unghiate. E perché, da un momento all’altro, Gerfaut avrebbe recuperato abbastanza fiato per urlare, e allora le persone intorno, ora tutte tranquille e votate a giochi e occupazioni varie si sarebbero accorte che qualcosa non andava.”

La fuga

Nella sua fuga Gerfaut incontra sicari, vittime incolpevoli, sadici picchiatori, taglialegna, guaritori, donne fatali: sono personaggi irresistibili grazie alla scrittura di Manchette, che riesce a non trasformarli in macchiette ma in infervorati fenomeni della natura umana. Ma soprattutto (torno al capitalismo e al liberismo) la trama di Piccolo Blues è una rete nelle cui maglie la società – competitiva, ingiusta, portatrice di malessere profondo e inspiegabile (tutti dallo psicoanalista!) – si impiglia e non riesce più a nascondersi. La critica marxista viene fuori dalla avventura di Gerfaut come una sorgente di acqua, fresca e deliziosa, a ricordarci che:

“Il motivo per il quale Gerfaut corre così sulla circonvallazione, con i riflessi rallentati e ascoltando quella musica, va soprattutto cercato nel suo ruolo all’interno dei rapporti di produzione…Gerfaut è un uomo del suo tempo, e anche del suo spazio.”